Ci sono paure positive che ci invitano ad affrontare le scelte con maggiore prontezza e riflessione; ma ci sono paure così forti da immobilizzare ogni iniziativa di cambiamento.
Spesso soffriamo di “paurite”, ovvero di paura della paura: ci allontaniamo dalla nostra natura mutevole e ciclica per timore di ciò che potrà essere, per “paura di avere paura”.
E così ci troviamo a subire la vita anziché viverla, atrofizzando emozioni, pulsioni, scintille.
Come bruchi spaventati dalla metamorfosi, perdiamo infinite occasioni per dispiegare le nostre ali, per conoscerci, per vivere in modo leggero e divertente ciò che è insito nella nostra natura, nella natura della Vita: cambiare.
Il cambiamento è visto come un macigno insopportabile che calpesta e distrugge le aspettative, ciò che l’altr* (e noi stess*) pensiamo di essere e di dover essere, di dimostrare e dover dimostrare: ma se risiedesse proprio in questo pensiero uno dei nostri malesseri primari, ovvero quel senso vago e continuo di oppressione e implosione emotiva, di prigionia interiore che blocca e rende negativa la nostra indole esploratrice e mutaforma?
Cosa farei per me, se nessuno (nemmeno la mia mente) giudicasse il mio cambiare?
Cosa farei se affrontassi la vita con sorpresa e meraviglia verso l’ignoto, comprendendo che è assolutamente naturale “non sapere”?
Cosa farei per me, se non avessi paura?